Il cervello dei nostri gatti? È più piccolo di quello dei loro antenati e la “colpa” potrebbe essere nostra

Un recente studio sui gatti ha dimostrato che le dimensioni del loro cervello sono più contenute rispetto a quello dei loro antenati

Se c’è un argomento di cui è sempre interessante parlare, è l’evoluzione della specie o meglio, delle specie. Infatti, proprio come noi, gli animali domestici si sono evoluti nel tempo. Già 140 anni fa Charles Darwin aveva notato alcune importanti differenze tra i gatti della sua epoca e quelli che erano vissuti in epoche precedenti. Tra queste c’era anche la dimensione del cerevllo che, al famosissimo scienziato, sembrava più piccolo.

Gatto guarda fisso
Pixabay

Nel tempo, poi, non sono mancati altri studi sul cervello del gatto. Di recente, proprio su questo argomento, gli scienziati si sono espressi nuovamente. Infatti, sulla rivista Royal Society Open Science è presente uno studio che conferma quanto già aveva ipotizzato Darwin molti anni fa: il cervello dei gatti è effettivamente più piccolo rispetto a quello dei loro antenati.

Come spiega Smithsonian Magazine:”Il gruppo di ricerca ha misurato un totale di 103 teschi provenienti dalle collezioni dei musei nazionali scozzesi. Hanno confrontato i teschi dei gatti domestici con quelli dei gatti selvatici africani (Felis lybica), un parente geneticamente più stretto dei gatti selvatici europei (Felis silvestris). Per misurare il volume cranico, hanno riempito ciascun cranio con perle di vetro da un millimetro e hanno pesato quante ne poteva contenere ciascun cranio, secondo lo studio.”

Il cranio dei gatti domestici, poteva contenere meno perle e questo vuol dire che il cervello era di dimensioni più contenute. Quali sono, però, le cause alla base di queste dimensioni ridotte? A questa domanda non è facile rispondere.

Gatto con gli occhi arancioni
Pixabay

Si può, però, ipotizzare, anche sulla base di altri fattori, che una delle cause sia l’addomesticamento. Tutto sommato, però, non è ancor oggi una certezza.

In ogni caso, l’autrice dello studio Raffaela Lesch, ha affermato: “Nel contesto della ricerca sull’addomesticamento, è fondamentale replicare questi studi più vecchi poiché costituiscono il fondamento di molte ipotesi attualmente dibattute.”

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